Ancora la notte, string trio (2014-15) – 6′ – [op.25]

Ancora la notte – 6′
for string trio

Publisher: Edizioni Suvini Zerboni

Ancora la notte

Écrire c’est tenter de savoir ce qu’on écrirait si on écrivait
– on ne le sait qu’après – avant, c’est la question
la plus dangereuse que l’on puisse se poser.

L’écrit ça arrive comme le vent, c’est nu,
c’est de l’encre, c’est l’écrit, et ça passe comme rien d’autre
ne passe dans la vie, rien de plus, sauf elle, la vie.
(Marguerite Duras, Écrire)


Ancora un lento. Dopo la scrittura intensa di un lungo brano per pianoforte, che mi ha spinto in nuove zone inesplorate, per me, della forma musicale (La musica è uno specchio trasparente) con questo brano per trio d’archi ho ripreso in mano degli aspetti della scrittura che mi hanno caratterizzato e che ho cercato di sintetizzare in pochi episodi che non comportano uno sviluppo immediato. Lo farò dopo, in un Trio successivo (Ancora ancora la notte). Il primo e principale aspetto che inspira il pezzo è l’idea della notte, intesa come momento della fine e come transizione all’inizio. La notte, per me, è quello spazio di tempo in cui il passato decanta e si decompone; si manifesta per immagini e ricordi che il buio permette di pensare e vedere secondo un ordine logico diverso dall’ordinario. La realtà passata rivela connessioni invisibili tra eventi non attigui ma legati da elementi comuni anche se distanti. La notte è anche quel tempo in cui le cose assumono un senso nella prospettiva che si creerà in seguito. Nella notte le cose accadono una dopo l’altra, come sempre, ma, in maniera diversa, il legame tra di esse possiede una consequenzialità sminuita e provvisoria. Il legame diventa provvisorio e si svela come instabile, al limite del possibile. Pensare al passato durante la notte significa prendere campioni di vita, estrarli dal tempo, prendere un pezzo di divenire che si oggettiva e si mostra in quanto tale. In questo senso questo brano è un pezzo d’infinito: tramite la musica rappresento un movimento che è stato, un oggetto che non è un oggetto perché diviene. Tuttavia il divenire di quel oggetto non è più legato alla logica successione degli eventi, si ripete in se stesso all’infinito. In questo procedimento di sospensione e di osservazione che qualifico sub specie aeternitatis, la scrittura possiede il ruolo fondamentale e lega tutta la mia produzione a partire dal 2001. La scrittura, come ne accenna Marguerite Duras, rappresenta la pratica della fissazione, della visualizzazione ma anche lo strumento dell’analisi dell’interiorità. In questo senso uso la scrittura come base del procedimento stesso della costituzione della forma musicale nella sua dimensione musicale. Tramite questa prospettiva l’esperienza che si fissa nella scrittura si evolve nello spazio provato della composizione, nel tempo indefinito e senza limiti della scrittura musicale. L’esperienza si muove e prende forme che nella realtà non aveva. La musica, che non descrive e non indica oggetti e significati precisi, riunisce le intenzioni, le proiezioni dinamiche dell’esperienza interna; la materia sentita e percepita, l’odore fugace del pensiero. L’esperienza continuerà a muoversi e a riverberarsi: la musica è fatta di ripetizione, spostamento e allungamento continuo del pezzo di infinito, riverbero nel senso di impronta dell’evento, calcare e ricalcare un cammino fatto fino a pensare che quel cammino ritorna nuovo. Si tratta, per me, di momenti di emozioni passate, raggelate, che si avverano e emergono nel momento della loro rappresentazione tramite la musica stessa, scritta e chiusa in una partitura. Si tratta della rappresentazione e della reificazione del movimento interno dal quale i suoni prendono il senso e la logica del loro ordine. Arrestare il tempo che però continua a fluire. Questa idea musicale implica l’utilizzazione di una tecnica compositiva che si basa su un particolare funzionamento della memoria creatrice. Il ricordo del vissuto, sensibile o emotivo, caratterizza la maniera di porre nel tempo la musica; in più la musica stessa, che si sta componendo, diventa, è un vissuto che diventa ricordo facendosi e anche aspetto della composizione che si porta a termine. La composizione è un processo di allontanamento e di chiarificazione oggettiva dell’idea musicale che si mostra in quanto processo. In questo senso la musica è un fare infinito, forma infinita, nel mio senso, in quanto rappresentazione, parziale e unica, del vissuto oggettivato tramite il processo della composizione. Si tratta di una musica dell’eterno presente e dell’infinito potenziale, che accade in continuo, tramite la quale cerco di riscoprire la sua origine in un sentimento fondamentale, che ripercorre, per ipotesi, le tappe di un pensiero e di una emozione, ricomponendola e cercandola nei suoi elementi essenziali.
In Ancora la notte gli episodi sono nel tempo ma vorrebbero esserne astratti. Ho il desiderio di indicare con precisione il momento in cui il suono diventa musica, uno stadio di meraviglia nel quale il divenire corrisponde alla scoperta dell’oggetto unico all’origine. Penso, immagino, senza saperlo dire, che la musica diventa suono tramite la ripetizione e il riverbero spaziale e psicologico. Cerco la tensione psicologica dell’ascolto interno. Il passaggio tra diversi stati d’animo e il riferimento a un pensiero di fondo, che è quello del tempo che passa e non ritorna, dove mi trovo a scrivere e vivere. Nella musica cerco il contrasto e il taglio netto delle frasi e degli accordi; il tentativo di perdermi e fare perdere l’ascoltatore in una dimensione di ascolto onirico, di accettazione ingenua del continuo e di frammentazione degli aspetti musicali, il contrasto del divenire lineare e della tensione tra densità armonica e purezza della nota singola. Questo Trio potrebbe anche essere pensato come ciò che rimane dopo una composizione, come i resti di un pensiero musicale che ho assemblato. Un suono, poi un altro; di colpo i suoni prendono senso in piccoli oggetti che colorano la percezione intima del divenire. Poi si frammentano e spariscono; e il tutto resta sospeso, scomposto e leggero; termina come finisce; due suoni, l’uno sull’altro, contro un altro ancora prima; l’apparizione di un’ipotesi di legame, che lascia aperte tutte le strade. Contrasti di suono basati su sbilanciamenti di orchestrazione: la tensione delle corde, il « mordente » dei registri e le intensità in contrasto con il suono grezzo del volume; lo schiarimento e lo inscurimento degli accordi.